Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace

La
prima giornata mondiale della pace risale al 1968, indetta da Paolo VI.

Papa
Montini dice esplicitamente che tale giornata non deve essere rivolta
esclusivamente ai credenti, ma a “tutti gli uomini di buona volontà”.

La
pace, in altre parole, accomuna le aspirazioni di tutti i popoli, di qualsiasi
fede politica e religiosa.

Dice
testualmente Paolo VI: «La proposta di dedicare alla Pace il primo
giorno dell’anno nuovo non intende perciò qualificarsi come esclusivamente
nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l’adesione di tutti
i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria, ed esprimersi in
libere forme, congeniali all’indole particolare di quanti avvertono quanto
bella e quanto importante sia la consonanza d’ogni voce nel mondo per
l’esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della
moderna umanità. La Chiesa cattolica, con intenzione di servizio e di esempio,
vuole semplicemente “lanciare l’idea”, nella speranza ch’essa
raccolga non solo il più largo consenso del mondo civile, ma che tale idea
trovi dappertutto promotori molteplici, abili e validi a imprimere nella
“Giornata della Pace”, da celebrarsi alle calende d’ogni anno nuovo,
quel sincero e forte carattere d’umanità cosciente e redenta dai suoi tristi e
fatali conflitti bellici, che sappia dare alla storia del mondo un più felice
svolgimento ordinato e civile
».

La pace
è un bene comune.

Lo dice
anche il messaggio di Benedetto XVI per l’inizio di questo nuovo anno.

È un
bene cioè che riguarda l’essere umano in quanto tale indipendentemente dalla
razza o dalla religione. Un bene che deve coinvolgere l’attenzione e gli
impegni di tutti. È chiaro che ognuno attinge alle sue migliori risorse
intellettuali e spirituali per far sì che questo bene comune prevalga sugli
interessi o sugli egoismi di parte.

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO
XVI

PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLVI
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2013

BEATI
GLI OPERATORI DI PACE

 

1. Ogni
anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva,
prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché
possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.

A 50
anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la
missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale
Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano
nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1],
annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.

In
effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi
aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da
minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del
bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Allarmano
i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze
fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista
espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme
di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei
fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della
religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli
uomini.

E
tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano
l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace
è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita
umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace
corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di
uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio
sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.

Tutto
ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù
Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio »
(Mt 5,9).

 

La
beatitudine evangelica

 

2. Le
beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse.
Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere
letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che
culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni
morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito
nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La
beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a
tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della
giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse
appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene,
Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa
scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del
tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla
parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù,
rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se
stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa
di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita
della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in
particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo
con Dio.

La
beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un
tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È
frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che
scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica
della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile,
allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su
assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei
quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di
profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono
centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza.
Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e
dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento
dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di
ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e
morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì
da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la
pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).

 

La
pace: dono di Dio e opera dell’uomo

 

3. La
pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di
tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace
interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il
creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII
nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il
cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla
verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò
che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni
essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in
ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace.
Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e
l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.

Per
diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla
dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso,
mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio
Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione
della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità
e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.

La
realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in
Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica
Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed
animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed
esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i
reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed
integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze
altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa
nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella
libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro
stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].

La pace
non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più
in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere
una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine
di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo.
Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui
operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova
alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere «
un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).

Proprio
per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di
Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e
anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la
nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo
la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno
dell’anima e del corpo, oggi e domani.

Da
questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità –
religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La
pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società,
primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio
per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche
le vie da percorrere per ottenere la pace.

 

Operatori
di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua
integralità

 

4. Via
di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la
vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal
suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri
operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la
vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente.
La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può
tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro
che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza,
sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono
conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga
dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di
un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come
si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei
popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il
diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla
vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo
sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera
subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e
relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue,
volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il
diritto fondamentale alla vita.

Anche
la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione
fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente
equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la
danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo
carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi
principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla
libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili
con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa
nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le
persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto
più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché
ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita
grave inflitta alla giustizia e alla pace.

Perciò,
è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e
l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio
dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che
attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.

Tra i
diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei
singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico,
diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto
di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni
circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di
vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di
testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo
insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza
che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come
organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini
istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica
tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza
religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente
indossano i segni identitari della propria religione.

L’operatore
di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione
pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il
convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo
dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà
della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va
considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena
realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.

Tra i
diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al
lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto
riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente
valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena
libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente
dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la
dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono
che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro
o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo
ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro,
basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione
come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene
corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche
del lavoro per tutti.

 

Costruire
il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia

 

5. Da più
parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo,
come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale
e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori,
che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è
sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur
apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le
opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita
buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione
spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario,
essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.

Per uscire
dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita
delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che
promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla
crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello
prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del
profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a
valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della
competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo
si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della
propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente
umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e
della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore
di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi,
con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli
esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come
qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni
presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare
agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.

Nell’ambito
economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di
sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e
dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi
fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari,
finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e
controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei
molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza
rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare,
ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica
internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni
repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti
irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente
controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per
fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme
in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con
l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà
rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e
sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.

 

Educazione
per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni

 

6.
Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a
coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia
sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.

Nessuno
può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base
della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e
politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le
persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la
cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale
progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia
è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura
della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario
nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella
famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una
cultura della vita e dell’amore [6].

In
questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le
comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità
attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione
alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e
morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli
operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento
dell’ingiustizia.

Una
missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni
culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole
contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al
rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse
possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le
attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed
etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto
di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi
ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso,
considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive,
a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base
di ogni vera educazione alla pace.

 

Una
pedagogia dell’operatore di pace

 

7.
Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia
della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti
morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace
concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace,
educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una
cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità.
Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a
vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento
fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri
torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in
modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per
avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una
pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va
ricercata imitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un
lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori
più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa
pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la
accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più
insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza
atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace
implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.

Gesù
incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono
totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25).
Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta
di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di
Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare
la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per
portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove
è dubbio. Da parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che
illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il
giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono
della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a
rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare
coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i
popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la
desideratissima pace [8].

Con
questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e
costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna
concordia, nella prosperità e nella pace.

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

BENEDICTUS PP XVI

 

[1] Cfr
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 1.

[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris
(11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.

[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.

[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS 101 (2009),
666-667.

[5] Cfr
ibid., 34 e 36: AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.

[6] Cfr
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8
dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.

[7]
BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del Governo,
delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico, i capi religiosi
e rappresentanze del mondo della cultura, Baabda-Libano (15 settembre 2012):
L’Osservatore Romano, 16 settembre 2012, p. 7.

[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris
(11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.

 

I commenti sono chiusi.