Festa del Magnificat
La prima missione di Gesù per mezzo di Maria
La Visitazione si presenta come l’inizio dei viaggi missionari di Gesù, per mezzo della Madre. Questo evento, in cui Maria appare come l’arca della nuova alleanza che porta in sé il Figlio di Dio, rivela un denso mistero di salvezza.
Quando ci si accosta al mistero della visita di Maria in Giudea alla parente Elisabetta e alla famiglia di Zaccaria, molti temi si affollano nella mente: ne emergono talmente tanti che, se non collegati subito tra di loro, si rischia di dimenticarne il nucleo, cioè la prima missione di Gesù per mezzo di Maria.
In genere l’evento della Visitazione è visto come immagine della Chiesa in preghiera (il canto del Magnificat) e nell’esercizio della carità (servizio della Vergine nei confronti di Elisabetta). Maria vi appare come la Donna delle visite: colei che visita le nostre famiglie e città; la Donna del primo passo verso Elisabetta, immagine quindi della diaconia ecclesiale; il servizio fraterno e l’impegno sociale verso i poveri, che scaturisce dalla lettura profetica della storia, ispirata al Magnificat; il mondo che attende la visita della Madre, primo “tabernacolo” della storia umana; la fiducia unica di Dio in due donne: Maria ed Elisabetta;
Inizio del culto mariano
La festa della Visitazione si riferisce – osserva Paolo VI – a «quelle celebrazioni che commemorano eventi salvifici, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio» (Marialis Cultus 7). Più direttamente, indica la memoria evangelica «in cui la liturgia ricorda la beata Vergine Maria, che porta in grembo il Figlio e che si reca da Elisabetta per porgerle l’aiuto della sua carità e per proclamare la misericordia di Dio salvatore» (ivi). Infatti l’antifona di ingresso della messa, dal Salmo 65,15, letta in chiave mariana, proclama che, come un giorno Maria evangelizzò Elisabetta con la sua visita, così ora ella evangelizza la Chiesa in preghiera. Mentre l’orazione dopo la comunione chiede che, come Giovanni sperimentò la presenza nascosta di Cristo portato dalla Vergine, così il popolo esultante ora riconosca nel sacramento la presenza viva del suo Signore.
Il Magnificat cantato della Vergine contiene una profezia: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). Nell’esclamazione: «A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,43), Elisabetta aveva già riconosciuto la dignità regale del Figlio di Maria (cf Lc 1,32; Sal 109,1) e aveva benedetto la Vergine come Madre del Signore. Tutte le genti nei secoli cantano a lei, alba luminosa della salvezza. Per questo, da una parte, il culto mariano è «elemento intrinseco del culto cristiano» (Marialis Cultus 56; Catechismo della Chiesa Cattolica 971), e la celebrazione del Signore non sarebbe integra, piena, se non facesse memoria contemporaneamente della Madre «congiunta indissolubilmente con l’opera della salvezza del Figlio suo» (Sacrosanctum Concilium 103).
Paolo VI, con illuminata e profonda intuizione, rivolgendosi ai rettori dei santuari d’Italia nel 1976, rilevava un orientamento spontaneo del popolo cristiano verso la Vergine: «Quanta gente, vediamo, non è molto religiosa, ma alla Madonna, a quella sì, curva il capo ed esprime una preghiera che altrimenti non sarebbe mai uscita dal cuore ed arrivata alle labbra».
L’esclamazione di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1,42) continua sulle labbra oranti dei credenti. Queste parole, intrecciate con quelle pronunciate dall’angelo Gabriele all’Annunciazione: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), hanno dato origine al nucleo fondamentale della più celebre preghiera mariana della Chiesa, l’Ave Maria.
L’inno del Magnificat – che da venti secoli risuona intatto nella Chiesa, e che «unisce già i cristiani al di là delle loro divisioni storiche» (Giovanni Paolo II, udienza generale del 21 marzo 2001) – «dovrebbe essere ben imparato e ritenuto da tutti»… perché in esso Maria «ci insegna come dobbiamo amare e lodare Dio.