La luce del Natale

È quasi un paradosso. Anzi, lo è.

A pochi giorni da Natale non facciamo che correre da una parte all’altra della città e spendere soldi per regali che, in genere, valgono il tempo di un sospiro. Niente di male, per carità. Almeno fino a quando il  regalo diventa la parte preminente, la preoccupazione principale della celebrazione.

Il Natale, spiegava il cardinal Martini in una omelia raccolta in "Verso la luce", è un mistero di impoverimento (“Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri”), che celebra la semplicità e la gioia, parole elementari, quasi banali, che tuttavia ci disorientano. Come se in un mondo “ostile” non potessimo essere felici, se ogni cosa dovesse essere terribilmente complicata, se la povertà fosse una piaga di cui vergognarsi. Come se ci dimenticassimo che “Dio ha cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede” e, soprattutto, scordassimo il “contesto  scuro” in cui il Natale ha luogo: “Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione”.

Vi suona famigliare?

Non bisogna esagerare, ma, senza dubbio, quelli che stiamo vivendo sono anni bui, difficili, che non risparmiano nessuno strato della popolazione e si accaniscono in particolare sulle famiglie e le giovani generazioni, l’asse portante della società, il suo futuro. Facciamo fatica a fare la spesa, siamo costretti a vivere sospesi, in attesa di un lavoro più umano o anche solo di un lavoro. Non riusciamo a guardare al di là delle preoccupazioni quotidiane. Teniamo duro, stringiamo i denti. Ma quando chiudiamo il pugno non stringiamo niente. Manca quasi il respiro. Per questo non è tempo di augurare “beni grandiosi e risolutivi, auspicando che le feste che celebriamo portino pace, salute, giustizia, concordia.” Non serve, non funziona: superata l’euforia ci ritroveremo nella stessa identica condizione, forse ancora più frustrati.

Quando celebriamo il Natale, invece, ricordiamo “il piccolo evento di Betlemme che, per chi crede, ha cambiato la storia del mondo e ci permette di guardare con fiducia anche ai momenti difficili della vita, in quanto illuminati e riscattati dal senso nuovo dato dalle vicende umane dalla presenza del figlio di Dio”. E non ci limitiamo a commemorare. Ogni anno proclamiamo la fiducia nella venuta di Colui che «tergerà ogni lacrima dai loro occhi» e rinnoviamo la speranza. 

L’attesa non è passiva. Non è rinuncia o accettazione. Inspira. Spinge. Stimola tutti quei gesti di “giustizia, di riconciliazione e di pace” che rendono al di là delle difficoltà: “In questo senso anche lo scambio di auguri di contenuto alto può esprimere la volontà di impegnarsi e la fiducia nella forza dello spirito che guida gli sforzi umani”.

Natale celebra la nascita di Gesù a Betlemme, e della nostra fede. Il dono, il regalo, è una conseguenza. E un "di cui". Ciò che conta è che “il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza.” Ed è da qui che bisogna ripartire: "La salvezza di cui noi esseri umani abbiamo bisogno è di essere liberati dalle tenebre che ci avvolgono, che ci rendono inquieti, preoccupati, timorosi. Nella tenebra, simbolo del caos e della morte, sorge improvvisamente una luce. Questa luce è un bambino mandato da Dio".

Cardinale Carlo Maria Martini

 

 

 

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